martedì, ottobre 31, 2006

TOM WAITS: UNDERGROUND


Rattle Big Black Bones
in the Danger zone
there's a rumblin' groan
down below
there's a big dark town
it's a place I've found
there's a world going on
Underground
they're alive, they're awake
while the rest of the world is asleep
below the mine shaft roads
it will all unfold
there's a world going on
Underground
all the roots hang down
swing from town to town
they are marching around
down under your boots
all the trucks unload
beyond the gopher holes
there's a world going on
Underground

È HALLOWEEN ANCHE PER ME


Tutto sommato, si potrebbe ben dire che quella di Halloween è una delle poche feste che ho in simpatia. Certo, si tratta di un Carnevale appena appena meno triste e lugubre, ma tutto sommato questa nottata è una di quelle che mi piace vivere. Che poi “vivere una nottata”, per il sottoscritto, vuol dire raggomitolarsi sul divano, infilarsi sotto una coperta e mettere fuori il naso dal plaid solo per accompagnare i canti de “La Sposa Cadavere” di Tim Burton, il film scelto per tenermi compagnia in questa serata di streghe incazzate, fantasmi smarriti, zucche scavate e morti che parlano.
Buon Halloween, quindi, a tutti voi che pensate di esseri vivi e invece siete già morti. Buon Halloween anche da parte di chi è già nella fossa, tutto magro, gelido e ancora incazzato. Buon Halloween anche da parte mia, insomma. E guai a piangere chi prima c’era e adesso non c’è più. Come insegnano Tim Burton, Tom Waits e il Sommo Poeta, la vita vera è sottoterra. A Natale, datemi retta, fatevi un favore e regalatevi una vanga e una torcia elettrica, che nei prossimi mesi ci sarà parecchio da scavare. Oh, se ci sarà parecchio da scavare!

sabato, ottobre 21, 2006

BIG STAR: THE BALLAD OF EL GOODO


Years ago, my heart was set to live, oh
But I've been trying hard against unbelievable odds
It gets so hard at times like now to hold on
My guns they're waiting to be stuck by
At my side is god

And there ain't no one gonna turn me 'round
Ain't no one gonna turn me 'round

There's people around who tell you that they know
The places where they send you, and it's easy to go
They'll zip you up and dress you down
Stand you in a row
But you know you don't have to
You can just say no

And there ain't no one gonna turn me 'round
Ain't no one gonna turn me 'round
Ain't no one gonna turn me 'round
Ain't no one gonna turn me 'round

I've been built up and trusted
Broke down and busted
But they'll get theirs and we'll get ours
Just if we can
Just, ah, hold on
Hold on
Hold on
Hold on

Years ago my heart was set to live, oh
But I've been trying hard against strong odds
It gets so hard at times like now to hold on
Well, I'll fall if I don't fight
And at my side is god

Ain't no one gonna turn me 'round
Ain't no one gonna turn me 'round
Ain't no one gonna turn me 'round
Ain't no one gonna turn me 'round
Hold on
Hold on
Hold on
Hold on

Years ago I was all set to go
And I've been trying hard against long odds
It gets so hard at times like this to even hang around
I can either stand or fall
And I believe I'm gonna stand tall

LA SERA, IN CASCINA


E così la cascina è ritornata un posto incantato. Ne è passato di tempo da quando, alla sera, mi sistemavo sul balcone a fumare e a guardare lontano, lontano, lontano. Nulla a che vedere con l’Occhio di Mordor, ovvio, eppure attraverso le (solitamente sporche) lenti dei miei occhiali da qualche sera a questa parte si intravedono cose meravigliose. Buona parte del merito lo si deve attribuire al Verduzzo delle valli friulane, naturalmente, ma credo che in parte conti anche il mio attuale stato mentale.
Tutto sommato, possiamo pure dirlo, il buon Magiustra è tornato a respirare in maniera autonoma. Il corpicino risponde sempre meglio agli stimoli e, addirittura, inizia a prendere una forma finalmente adatta a questa mente portentosa. E il bello è che le cose che vedo dal balcone della cascina sono a dir poco incredibili. Mi passano davanti agli occhietti un po’ di amici che non vedo più da tempo (e che non vedrò mai più, tra l’altro) come Bruno e Paolo. Saluto con la manina i coniglietti giganti che si rincorrono in giardino, tutti impegnati nella loro assurda e infinita partita di “Ce l’hai!”. Mormoro maledizioni e insulti ai macchinisti dei treni che mi sferragliano a destra e a sinistra, treni che con il loro rumore meccanico tendono a coprire la voce del povero Alex Chilton dei Big Star, al momento impegnato a cantare “The Ballad of El Goodo” dalle stanche casse del mio stereo. Che canzone, tra l’altro. E che disco, il vecchio “#1 Record”. E che gruppo, a volerla dire tutta. I Big Star giocavano a fare i piccoli Velvet Underground, senza averne lo stile ma condividendone quantomeno le fortune commerciali. Se state leggendo queste due righe, fate scivolare il mouse verso il primo browser internet a disposizione e mettetevi alla ricerca di uno quei dischi capaci di farvi bene e male al tempo stesso. Proprio come il più cattivo dei whiskey, la più amara delle commedie di Woody Allen, la più scema delle fidanzate e la vita tutta, già che ci siamo. Digressioni, comunque.
Si diceva, invece, delle immagini buffe e strane e improbabili che mi si piazzano davanti alla sera, quando la cascina piomba nel silenzio, il buio la mette in un sacchetto e rimane solo la Luna a sorriderle, benedicendola alla sua maniera. Incredibilmente, tra l’altro, sulla cascina sono quasi tre settimane che splende una magnifica Luna piena, completamente irrispettosa delle orbite, delle leggi universali e di tutto quanto scribacchiato nei libri di astronomia. E il bello è che la Luna piena, oltre a fare atmosfera, si premura pure di chiamare a raccolta tutti i lupi mannari dei paraggi (ma a questo contribuisce anche la voce di Chilton, senza dubbio). E come se non bastasse, con la sua pallida luce al gusto latte illumina pure un albero che non c’è, e che riesco a vedere solo io. Un vecchio albero dal fusto forte, nodoso e ricoperto di muschio. Un vecchio albero che l’altra notte sono anche riuscito a fotografare, come potete ben vedere nell’immagine appiccicata in qualche maniera in cima a queste due righe scribacchiate in tutta fretta. La fotografia l’ha sviluppata Cecco, che è figlio di figli di fotografi mica per niente. E con sua e mia grande sorpresa, quello che è venuto fuori dalla camera oscura è uno scatto non solo bellissimo e grondante malinconia, ma anche un pizzico incantato. Non capita certo spesso che un vecchio albero immaginario sia addirittura scelto come tana da un Totoro dall’aria trasognata, ne converrete. Non capita spesso, no. Ma qui in cascina, da un po’ di tempo a questa parte, stanno succedendo cose a dir poco incredibili. Un Totoro sull’albero, in confronto ad un Magiustra vispo, elettrico e vivace, è veramente poca cosa, come ben sanno quelli che lo conoscono.

domenica, ottobre 15, 2006

MALATTIA


Settimana strana, quella che mi sono appena lasciato alle spalle. Era iniziata come era finita quella precedente, ovvero con il povero Magiustra alle prese con troppe recensioni, troppe anteprime e troppi speciali da scribacchiare in tutta fretta. Ma il nostro eroe, sorprendentemente, è rimasto senza benzina già il martedì, quando si è ritrovato assalito da una mezza influenza di quelle subdole e cattive. Un’influenza che si deve essere intrufolata sotto alle coperte nel corso della notte, approfittando del mio riposo e della scarso dinamismo del mio fidato cane da guardia, Conflitto. Dannazione, bisogna stare attenti a rimboccarle per bene queste dannate coperte, in questa ancor più dannata stagione, perché i virus e i bacilli amano il calduccio e strisciano veloci veloci tra i cuscini e i piumoni. Resta il fatto che tra una mezza linea di febbre, una traduzione fiume per il sito di GamesRadar (www.gamesradar.it, per la cronaca) che non potevo proprio rimandare e un gran raffreddore, questa non è stata una settimana di quelle scoppiettanti. Ma proprio per nulla. Anzi, si potrebbe dire che quella appena trascorsa sia stata una settimana di coccole guaritrici all’insegna dei fumetti (ne ho letti una valanga, ma soprattutto Slam Dunk e Calvin & Hobbes), delle pozioni magiche a base di the bancha, kuzu e prugne umeboshi e di tanto, tanto letto.
A farmi compagnia, nel corso di questi pomeriggi che non volevano saperne di trasformarsi in serate, ci ha pensato Conflitto, il mio migliore amico. Anche lui, come potete intuire dalla sua espressione immortalata nella fotografia appiccicata qui sopra, non è che in questi giorni si sia divertito tantissimo. Ma gli ho parlato un sacco, gli ho letto ad alta voce le scenette più belle di Slam Dunk (che continua ad esaltarmi e a commuovermi come ai tempi d’oro) e l’ho anche sfidato a Tetris su DS. Peccato che non ci sappia giocare troppo bene, però. In effetti, gli attacchi a base di tetramini del mio malmostoso bulldog sono talmente prevedibili che proprio non riesco a capire come abbia fatto, la settimana scorsa, a vincere tre partite di fila contro Andrea e il Conte Massara. In effetti, ripensando a quanto sono scarsi i due tizi in questione, forse la cosa non è poi troppo sorprendente.
La settimana prossima ho in mente di organizzare un torneo di Tetris, coinvolgendo il dinamico duo di cui sopra e il temibilissimo Cecco. Devo solo farmi venire in mente un premio che mi stuzzichi la fantasia, visto che (ovviamente) lo vincerò io. Del resto, anche se tendo a dimenticarmelo, resto sempre il miglior giocatore del Giappone. Per fortuna che ci pensa il mio amico Sakuragi a ricordarmelo, quando è il momento giusto.

SALUTI DALLA CASCINA (PARTE II)


... il cielo ormai si spegne sempre prima. E i colori, che peccato!, si fanno pallidi e tenui. Ho preso l'abitudine di fumarmi una sigaretta godendomi i tramonti, da qualche settimana a questa parte. Spero di non perderla troppo in fretta. Penso che mi faccia parecchio bene. L'abitudine di godermi i tramonti, intendo. Non la sigaretta.

martedì, ottobre 10, 2006

V COME VITTORIA!


L’ultima apparizione del Magiustra ad una festa di compleanno la si può ragionevolmente far risalire al Mesozoico, o comunque giù da quelle parti. O, almeno, la si poteva far risalire a quei tempi (assai più civilizzati di quelli attuali) fino allo scorso sabato sera, quando il nostro eroe è riuscito ad infiltrarsi nell’abitazione di una bambina tutta strana.
La bambina in questione, tale Vittoria, si era presa la briga di organizzare una festicciuola per pochi disgraziati senza futuro, ed ecco quindi spiegato il perché della mia presenza, almeno agli occhi di chi mi conosce poco. Resta il fatto che, ad una festa di compleanno, è assai inopportuno presentarsi senza un regalo. Si racconta che quello studiato dal Magiustra, da sempre amante della tradizione più sana e più rustica, sia stato uno dei più brillanti, simpatici e profondi mai architettati da mente umana. In realtà il regalo, ovvero il primo volume della serie di Calvin & Hobbes (“La Vita che Stress”, per la cronaca), non è che fosse poi tanto sorprendente. Anzi, a dire il vero lo si potrebbe definire pure un po’ scontato, ovvio e banale.
Ma in realtà il volumetto di Calvin & Hobbes era solo un involucro per il regalo vero e proprio, ossia il biglietto d’auguri che potete ammirare in tutto il suo malinconico splendore appiccicato proprio qui sopra.
Partorito dalla fervida e galoppante fantasia magiustrica, realizzato dalla nobile e ferma mano del buon Cecco e impreziosito, abbellito e agghindato da una portentosa sinergia di queste due brillanti personalità, il biglietto d’auguri per il compleanno di Vittoria si candida senza dubbio come uno dei più ispirati che la bimba in questione potrà mai sperare di ricevere. O quasi. O forse. O vai a sapere.
Resta il fatto che analizzandolo da vicino è possibile riconoscere la triste caricatura del povero Magiustra, seduto accanto ad un bel po’ dei suoi migliori amici: l’impavido Link della saga di Zelda, il buon vecchio Super Mario, l’esuberante Hanamichi Sakuragi di Slam Dunk. E ancora il temibilissimo Kirby, il materno (e paterno) Totoro, il febbricitante Psyduck... ci sono proprio tutti. Anche il pirata timido e silenzioso che vive ad Atari, per la gioia di chi mi vuole più bene!
E poi, in lontananza, ecco la silhouette di una bambina dai lineamenti appena abbozzati (del resto io Vittoria la conosco appena appena), i cui dettagli verranno forse tratteggiati in un futuro più o meno prossimo. Ma qualche cosa di questa bimba dipinta a matita, dalla sua postura e dal suo passo, è pure possibile capirlo. Anche solo guardando questa diapositiva immaginaria si può riconoscere una bimba curiosa (in entrambe le accezioni del termine) e una bimba un po’ triste (il fiore appassito che stringe nel pugno non è certo un particolare messo senza una ragione ben precisa). E pure una bimba molto carina, a dirla tutta, ma per far risaltare questo dettaglio non è che servissero il cinico occhio magiustrico o l’abilità grafica del mio illustratore personale. Certe cose le capiscono tutti. Certe altre, invece, solo io.

venerdì, ottobre 06, 2006

CIAO CIAO MICI


E così, da qualche giorno, la piccola Salopette se ne è andata. Tania è venuta a prenderla qui in cascina, per portarla a vivere in città. Questa micina storta e bruttarella mi ha strappato più di un sorriso, mi ha tenuto un bel po’ di compagnia e mi ha portato più di una volta sull’orlo della disperazione. Soprattutto nei giorni immediatamente successivi alla fuga di Tania, quando oltre alla Salopette mi giravano per casa altri tre gattini (il Rossino, la Grigina e la Fiona), proprio non riuscivo a tenerla a bada. Era disperata, mi scappava via tutte le volte che la avvicinavo e grattava in continuazione la porta di quella che per un paio d’anni (e qualcosa di più) era stata la stanza del cucito di Tania. In questa stanza la magrissima Salopette passava gran parte dei pomeriggi, addormentata e acciambellata in un cassetto pieno zeppo di stoffe, ritagli, spilli e bottoni. Resta il fatto che, dopo due mesi di vita con me e Conflitto, la piccolina un pochino si era abituata all’idea di vivere con due maschiacci. La spazzolavo, verso sera, quando si metteva sul davanzale della camera da letto per godersi il tramonto (si veda a questo proposito il post intitolato “Saluti dalla Cascina”). Le compravo delle buonissime pappe ai gusti più esotici (pesce rosso in bolla, canarino in gabbia, lucertola & topolino di campagna). Le sorridevo appena prima di mettermi a nanna, quando di fatto le nostre vite se ne andavano in due direzioni diverse. Mai capito cosa sognino i gatti. Mi auguro che si vedano dei filmini più divertenti dei miei, che grazie a dio vengono cancellati al risveglio da una sorta di “Processo di Rimozione Forzata”. Comunque, visto che di ricordi di questa micina ne ho in abbondanza, tanto vale metterne alcuni in fila, ben ordinati, così da far capire al globo terracqueo quanto io fossi affezionato ad una gattina arrogante, prepotente e tendenzialmente parecchio antipatica.

5) La prima volta che l’abbiamo vista io e Tania, nella gabbia dell’ambulatorio veterinario.
Che momento imbarazzante: Tania la prese tra le mani, un mucchietto di ossa avvolte in un fazzoletto di pelle, e le sorrise. In quel preciso istante il veterinario disse che c’era un altro gattino nella gabbietta, tutto nero e luciferino. Tania si volse, lo guardò un istante e, per un attimo, le passò per la mente l’idea di prendere lui e di lasciare sul posto la piccola micina tutta magra e spelacchiata che aveva tra le braccia. Per me era inconcepibile. Come si poteva mai mettere giù una creaturina del genere, privandola per sempre di “quel” contatto? Impossibile. Spinsi per la piccola Salopette. Tania se la strinse al petto e da quel momento, per mesi e mesi, fu la bimba più felice del mondo.

4) Una meditabonda Salopette sdraiata sul davanzale, impegnata a godersi il calore degli ultimi raggi del Sole.
Era un suo appuntamento fisso, che non avrebbe mancato per nulla al mondo. Vederla abbandonata e lasciva, con quella coda sempre in movimento, era parecchio romantico e misterioso. Anche perché, pur senza un motivo preciso, quella scena mi portava alla mente l’Antico Egitto, Cleopatra e Akhenaton, il Faraone Deforme (il mio preferito tra i Signori dell’Antico Egitto, per la cronaca). In effetti, con l’arrivo della gattina, per qualche tempo venni colto da una sorta di febbre egizia, che mi portò ben presto a dormire con due bastoni ricurvi stretti tra le mani. E non solo, spesso camminavo radente ai muri e, ancora più di frequente, sognavo che nelle vene, al posto del mio solito sangue da due soldi, circolassero le acque del Nilo. Tutto questo mi riporta alla mente il Museo Egizio che visitati da bimbo, in una sorta di gita scolastica a base di geroglifici e maledizioni. Un Museo che rivedrei volentieri, tra l’altro.

3) I dispetti della mici: tanti, tutti perfidi, cattivi e arricchiti di un sinistro senso dell’umorismo.
Il suo preferito era quello di staccarmi i tasti dell’iBook che uso abitualmente per guadagnarmi da vivere, riattaccandoli poi tutti sbagliati. Il suo grande classico era lo scambio della “z” con la “m”, ma amava anche invertire la “virgola” e il “punto”. Il buon Cecco, un amico mio, è convinto ancora adesso che tutta questa storia delle lettere scambiate di posizione sia da attribuire all’impostazione della tastiera (che al momento è settata su Italiano Pro). Evidentemente Cecco non ha fatto in tempo a conoscere abbastanza bene la gattina che mi gironzolava per casa.

2) La Salopette addormentata.
Chiunque abbia avuto la fortuna di passare del tempo con un animaletto non può non essersi innamorato della sua bestiolina vedendola dormire, poltrire, sognare con gli occhi stretti stretti. La piccola Salopette aveva una poltrona praticamente tutta per lei, dove si acciambellava e dove passava gran parte del suo tempo. Quando aveva voglia di avventura e di emozioni (cose a cui uno Jedi non ambisce, per dirla come Yoda), ecco che si lanciava sul tetto della cascina, così da mettersi a caccia di uccellini e lucertole. Si deve essere divertita un mondo, da queste parti. I pisolini della mici che ricordo più volentieri sono quelli schiacciati in Inverno, quando si metteva sul divanetto vicino alla stufa accanto a Conflitto. Si voltavano le spalle, ovviamente, ma restavano uno vicino all’altro. Il fuoco della stufa, non c’è niente da fare, pare incantato.

1) La prima sera senza la mici. Già al mattino ero scoppiato a piangere, sapendo che nel corso della mattinata Tania sarebbe venuta a prenderla. Le avevo preparato un paio di pappe da portarsi via, la sua gabbietta, il libretto del veterinario, la spazzola, la vaschetta e le ciotoline per i croccantini e per il latte. Io sarei stato via, a Milano, per tutta la giornata. Al mio rientro, la Salopette sarebbe sparita dalla mia vita più o meno per sempre. Quella sera non ebbi nemmeno il tempo ad aprire la porta che me la ritrovai davanti, sebbene sotto forma di un maglione abbandonato sulla mia poltrona. Ancora oggi, anche se sono passati un bel po’ di giorni, continuo a cercarla con lo sguardo per sapere dove diavolo possa essersi cacciata. Anche Conflitto mostra, in parte, la stessa curiosità. Affonda il muso nell’armadio a muro dove la gattina si andava a rifugiare quando Tania faceva passare l’aspirapolvere. Annusa per bene la poltrona dove la Salopette dormiva i suoi sonni che profumavano di sabbia e di antichità. Mi guarda con un sguardo un po’ mesto e un po’ fiero, non trovandola. “Il branco si è sfasciato”, sembra dirmi, “e tutti se ne sono andati per la loro strada”. Io lo guardo, lo accarezzo sul testone e penso che siamo rimasti soltanto io e lui. Soltanto io e il mio migliore amico. E quel “soltanto”, accanto a lui, non suona poi così povero, misero e spaventoso.