martedì, settembre 12, 2006

NINA SIMONE, LITTLE GIRL BLUE


Diamine, per una vita io le cantanti e le voci femminili non le ho potute soffrire. Certo, con qualche straordinaria eccezione: una incerta simpatia per la prima Patti Smith, un gran rispetto per Janis Joplin, un mezzo pensierino a P.J. Harvey... poca roba, tutto sommato. Ci sarebbe da mettere in conto pure Mary Margaret O’Hara, ma visto che la conoscono in tre forse (per ora) è meglio glissare.
Resta il fatto che nella mia vita, per un bel po’ di anni, l’unica presenza fissa e costante dell’universo femminile è stata Tania. A guardarla bene ci vedevo dentro tutte le donne del mio mondo: una sorta di mamma di riserva, di amica mezza scema e di fidanzata frizzi & lazzi. Resta il fatto che, da quando se ne è andata, tutte le luci rosa del mio immaginario si sono spente all’improvviso. Ero talmente abituato ad essere curato e controllato da un occhio femminile che, quasi senza accorgermene, mi sono ritrovato a circondarmi di fanciulle più o meno credibili. Tra tutte, quella che più mi ha consolato, rallegrato e ispirato, è senza dubbio Nina Simone.
“Nina Simone”, già, che poi è un nome d’arte. All’anagrafe la signorina era conosciuta come Eunice Kathleen Waymon, e per arrivare al nome scelto per muoversi nelle paludi dell’industria musicale le sono servite due capriole. Eunice ha scelto “Nina” come nomignolo in omaggio al suo fidanzato (che in intimità la chiamava appunto così), e “Simone” per strizzare l’occhiolino ad una delle sue attrici preferite, tale Simone Signoret.
La piccola Eunice nasce nel North Carolina nel 1933 e, come al solito, la sua infanzia risulta tribolata per via delle più ovvie discriminazioni razziali e dalla solita (e precaria) situazione economica dei genitori. Fin da giovane Eunice mette in mostra delle doti canore fuori dal comune, ma la sua vera passione pare essere il pianoforte. A soli dieci anni Eunice ha la possibilità di mettersi in bella mostra davanti ai genitori, che sono seduti nelle prime file di una piccola sala musicale, in attesa di vedere la figlioletta alle prese con l’accompagnamento pianistico per un recital. Nemmeno il tempo di iniziare e la serata è già bella che rovinata, con i genitori costretti a sistemarsi in fondo alla sala per lasciare i loro posti ad una distinta coppia di “bianchi”. Eunice un po’ ci rimane male e un po’ si incazza, al punto tale che il malumore non le è passato nemmeno adesso. Ancora oggi si racconta dei suoi eccessi d’ira, che la portarono a sparare addosso al figlio dei suoi vicini di casa, perché le sue risate la disturbavano. E la tipa doveva veramente avere il grilletto facile, perché più avanti aprì il fuoco pure contro un manager della sua casa discografica, reo di averle fregato un po’ dei guadagni derivanti dalle vendite dei suoi album. Resta il fatto che nel suo disco d’esordio l’amarezza per la sua infanzia brulla e triste la si sente eccome, ma fortunatamente se ne rimane sullo sfondo, così da lasciare spazio a sentimenti più universali: nostalgia, paura, sensualità e, addirittura, una scintilla di speranza. La scaletta del disco è formidabile, con blues profondi come la notte dedicati ad amanti abbandonati alternati a filastrocche jazzate, ma non ci si può dimenticare degli “intervalli pianistici” che rimandano alla musica classica, altro campo dello scibile umano che da giovane le venne precluso per via delle più becere discriminazioni razziali.
Resta il fatto che un disco come “Little Girl Blue” ti capita di incontrarlo una sola volta nella vita, e che se sei fortunato ci inciampi dentro proprio quando sei alla ricerca di una nuova mamma, di una nuova amica, di una nuova amante. Perché quando Nina Simone canta “Love Me or Leave Me” improvvisamente i nuvoloni dell’animo vengono ricacciati da dove sono venuti. Perché quando Nina Simone si strugge recitando “Don’t Smoke in Bed”, ecco che ti scopri con le lacrime agli occhi. Perché quando Nina Simone suona “You’ll Never Walk Alone”, premendo e accarezzando e sfiorando i tasti di un pianoforte mai tanto dolce, nel giro di un battito di ciglia il titolo della canzone sembra molto più, molto di più, che una semplice promessa. Per un attimo ti sembra proprio che una ragazza fragile e coraggiosa ti stia tendendo la mano, per farti compagnia lungo una strada che a percorrerla da soli ci sarebbe da avere paura. Tanta, troppa paura.