LA NOTTE, AD ATARI
Una delle cose belle di Animal Crossing: Wild World è che, a ben vedere, più che come un videogioco funziona come una sorta di “diario dei segreti”. Quello che succede tra i due schermi della mia console, poche storie, nessuno può saperlo. A parte me, ovvio. Certo, magari un animaletto chiacchierone è capace di andare a vivere in un altro villaggio, portandosi dietro le lettere che gli avevo spedito e le paure che gli avevo confessato. In linea di massima, però, la vita di un Animal Crosser come me (così si chiamano in gergo le personcine che hanno deciso di andare a vivere tra coccodrilli malinconici e procioni con il grembiule) non può che restare misteriosa, anche e soprattutto agli occhi dei propri amici, parenti, fidanzati e puttane d’alto borgo. In effetti, tanto per fare un esempio, credete che Tania sappia esattamente cosa ho combinato nel corso di tutte le ore che ho passato ad Atari, il mio borgo di Animal Crossing? Sapeva che mi occupavo dei fiori e che mi piaceva stare sulla spiaggia a cercare conchiglie, soprattutto quando pioveva (ma forse no, forse non lo sapeva), ma il linea di massima non poteva certo sospettare cosa facessi, soprattutto di notte. E forse è meglio così, perché se lo avesse saputo si sarebbe pure potuta spaventare. O magari si sarebbe messa a ridere, vai a sapere.
Nel mio armadio, assieme agli oggetti della serie egizia per il Conte Massara (che prima passerà a ritirarli e meglio sarà), conservo in buon ordine una mezza infinità di vestiti, cappelli e travestimenti. C’è dentro di tutto: una divisa completa da poliziotto, l’elmetto militare e la tuta mimetica, la maglietta di Super Mario, il costume da coniglio, nasi e baffi finti in gran quantità, un casco da pilota di Formula 1, il copricapo di Sherlock Holmes... e guai a dimenticarsi della toga romana!
Questi travestimenti sono quelli che indosso di notte, quando mi prendo un po’ di tempo per girare per il villaggio sotto mentite spoglie. Mi piace tantissimo gironzolare travestito in maniera assurda, smettendo per qualche decina di minuti la mia classica divisa da pirata timido e infelice. I miei vicini di casa, soprattutto Melba e Buck, sembra quasi che non facciano caso ai miei eccentrici camuffamenti, ma non mi importa. Quello che mi importa è che setacciare la spiaggia alla ricerca del corallo con addosso la tuta da astronauta è un lusso che si possono concedere in pochi. Come in pochi possono pretendere di girare per il villaggio vestiti da vigili del fuoco o da giullari di corte. Qualche mezza volta mi concedo addirittura il lusso di togliermi il cappello, la maschera e la maglietta e di correre in giro mezzo nudo, facendomi vedere per quello che sono.
La mattina, però, quando mi sveglio e mi ritrovo a letto con addosso un costume da cuoco o da marinaio, la prima sensazione che provo è di imbarazzo. È una sensazione che mi ricorda un po’ quella del mattino post-sbornia, quando la vergogna si mette a braccetto con i (pochi) ricordi della serata precedente. Ma forse è proprio questo il prezzo da pagare per un po’ di svago. E visto che bevo sempre meno, mi pare pure giusto che il mio armadio finisca per essere pieno zeppo di cuffie da notte, tocchi universitari, maschere antigas e stravaganti scafandri. È una questione di equilibrio. Precario, certo, ma pur sempre equilibrio.
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